Medicina di genere e diagnosi: l’approccio del medico

Nell’approccio alla Medicina di genere vanno considerati numerosi aspetti, che comprendono le differenze biologiche tra i sessi, le coorti utilizzate negli studi scientifici, fino alle reali opportunità di accesso ai luoghi di cura. Anche le professionalità coinvolte sono diverse, e vanno dal ricercatore-scienziato al decisore della Sanità pubblica.

Nel mezzo ci sono i pazienti, che rappresentano il beneficiario finale di obiettivi prioritari quali la diagnosi e la cura, nonché il miglioramento della qualità di vita.

Cosa significa avere un approccio “genere-specifico” nella pratica clinica? Che vantaggi ci sono per i pazienti?

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Rossella De Angelis, Professore Associato di Reumatologia presso l’Università Politecnica delle Marche.

Genere e malattia

La Medicina, fin dalle sue origini, si è caratterizzata per un approccio “androcentrico”, confinando e circoscrivendo gli interessi nei confronti della salute femminile al solo ambito riproduttivo. Nella realtà odierna, si va sempre di più consolidando un orientamento verso un metodo più moderno, che tenga conto dell’influenza sullo stato di salute e di malattia sia delle differenze biologiche (definite dal sesso), sia di quelle socio-economiche e culturali (definite dal genere), secondo la descrizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Dati demografici, epidemiologici, clinici e farmacologici dimostrano in maniera inequivocabile la presenza di molteplici disparità genere-specifiche nello sviluppo e nella storia naturale delle malattie, come anche nella risposta alle terapie. In quest’ottica, appare necessario sottolineare che la Ricerca pre-clinica è sempre più orientata a sviluppare molecole “mirate”, destinate ad interagire con la peculiarità biologica delle singole persone (“tailored medicine”).

Le malattie di interesse reumatologico, ed in particolare le malattie autoimmuni ed immuno-mediate (lupus eritematoso sistemico, sclerosi sistemica, artrite reumatoide, ad es.), si prestano più di altre ad essere annoverate in questo “cambio di prospettiva”, che prevede un arruolamento nei trial clinici destinato in egual misura sia agli uomini che alle donne. A tal proposito, occorre ricordare come le malattie citate siano più frequenti nel sesso femminile, ma che, quando presenti nel sesso maschile, sembrano possedere un decorso più aggressivo ed una prognosi sfavorevole.

Diagnosi di genere: l’approccio del medico

Nel corso della relazione medico- paziente va considerato un approccio centrato sulla persona, che tenga conto non solo delle differenze biologiche, ma anche del contesto relativo: la famiglia (con gli eventuali caregivers), lo stile di vita, l’ambiente, la condizione culturale, la provenienza geografica, la percezione dello stato di salute e di malattia. In sintesi, occorre includere tutto ciò che definisce ed integra il “genere” di un individuo.

Va sottolineato che, in numerosi contesti, specie nei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, e nelle zone meno evolute delle società occidentali, l’accesso ai trattamenti non è “uguale per tutti”, con limitazioni che riguardano in particolar modo la componente femminile della collettività.

Un medico specialista deve saper valutare tutti i fattori di genere che potrebbero pregiudicare la cosiddetta “aderenza terapeutica”, cioè l’adattamento del/della paziente alle raccomandazioni riguardo i tempi, le modalità, la frequenza e le dosi dell’assunzione del farmaco stabilito.

Il genere influenza la risposta alle terapie?

In ambito reumatologico, è sempre più diffusa la convinzione che, dopo la presa in carico di un paziente, ci si troverà di fronte, nonostante la medesima diagnosi, ad una malattia diversa sul piano clinico nell’uomo o nella donna, con una costellazione sintomatologica differente, una semantica diversa del dolore (che rappresenta il sintomo principale di numerose malattie), una percezione discordante del vissuto di malattia.

La risposta alla terapia, influenzata dalla biologia, è parimenti condizionata da una diversa distribuzione delle molecole nei tessuti, dalle influenze ormonali nei due sessi, dagli enzimi coinvolti nel metabolismo, dagli inquinanti ambientali, dal fumo, dall’alimentazione.

Inoltre, le donne tendono a consumare più farmaci rispetto agli uomini, specie integratori e rimedi botanici, anche perché si ammalano di più, nonostante una maggiore aspettativa di vita (paradosso “donna”).

Genere e risposta immunitaria: la metafora del terremoto

Un altro aspetto interessante da considerare è che anche la risposta immune cambia con le diverse età: è diversa nella fase embrionale, nella prima infanzia, nell’adolescenza, nell’età adulta e in quella senile. A queste differenze si aggiungono quelle legate ad un diverso assetto immunitario in età fertile. La gravidanza, infatti, va considerata un periodo a sé stante, durante il quale il sistema immunitario della donna si rimodula per ospitare il feto, producendo cellule specializzate che evitino che i tessuti fetali in via di sviluppo vengano percepiti come estranei, e quindi aggrediti. Infatti, il feto possiede un patrimonio genetico per metà di derivazione paterna.

Anche gli ormoni prodotti nel corso della gravidanza in misura rilevante (estrogeni e progesterone in primis) inducono la tolleranza “attiva” materna nei confronti del prodotto del concepimento.  Dopo il parto, con il repentino calo ormonale ed una risposta immune non ancora rimodulata, in soggetti predisposti si può assistere alla comparsa improvvisa (o alla riacutizzazione) di una malattia autoimmune, che in alcuni casi può riprodurre una sorta di “terremoto”.

Le consistenti differenze relative alla risposta immune nei due sessi possono anche essere ricondotte a variazioni sostanziali della cosiddetta “clearance” (“eliminazione”) di detriti cellulari, anche di derivazione batterica, e costituire un fattore positivo. Nel sesso femminile, ad es., è stata riscontrata una maggiore frequenza di infezioni virali, proprio per una migliore capacità di presentazione ed eliminazione degli antigeni esterni, mentre nel sesso maschile, oltre ovviamente a malattie che non riguardano la sfera riproduttiva (neoplasie epatiche, polmonari, tratto gastro-intestinale) risultano più frequenti epatiti B, tubercolosi, aspergillosi, ecc., cioè infezioni che tendono a cronicizzare.

Questi sono solo alcuni esempi che indicano come una differente configurazione del complesso mondo delle cellule immunocompetenti, direttamente o indirettamente, riesca ad influenzare lo stato di salute dei soggetti. Questa diversità va sempre tenuta in conto quando si parla di Medicina di genere.

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